lunedì 5 aprile 2010

Il piacere di tornare a casa

Il piacere di tornare a casa ho potuto provarlo due volte durante questa lunghissima avventura.


30 giorni di viaggio, 30 giorni on the road across Europe con al collo una collanna e indosso un giubbotto di pelle di trent´anni. Se mi avessero detto qualche tempo fa che avrei fatto una cosa del genere da solo, non gli avrei mai creduto, non mi sarei mai creduto capace di fare una cosa del genere, e invece, zaino in spalla, sono partito. Quante cose sono cambiate, quante cose stanno cambiando, in me, intorno a me, in chi mi sta vicino, e chi lentamente si perde nel nubolio dei ricordi. E ringrazio chi mi ha cambiato, ringrazio per ogni singolo istante che mi ha portato ad essere quello che sono. Ringrazio chi mi ha ispirato questo viaggio, chi mi sono portato nel cuore durante questi dio solo sa quanti chilometri. 2900 chilometri (perché nella vita bisogna essere scientifici, prima di tutto scientifici).


Tutti coloro che ho incontrato sulla mia strada, tutti facenti parte di un puzzle, un enorme puzzle che pezzo per pezzo sta andando a disegnare la mia vita, e come un bambino non riesco a smettere di cercare di mettere i tasselli al posto giusto, alcuni sono chiari e definiti ed entrano alla prima, ma lì dove i contorni si confondono con lo sfondo non posso non forzare i pezzi per farli combaciare, a volta va bene, e in fondo, erano proprio loro, altri non puoi che rinunciare, metterli da parte, e poi, il cielo lo si farà in un secondo momento, e chi può dire che non diventerà la parte più bella di questo strano puzzle da milioni di pezzi?


È tornare a casa, e abbracciare persone che non vedevi da cinque anni con le lacrime agli occhi, e, scusa, il formaggio ti serve per cucinare o posso mangiarlo? , è sentirsi a casa, molto è cambiato, ma in fondo tutto è uguale a prima anche se forse qualche centimentro in più rende ogni abbraccio più difficile. È rendersi conto che attraverso una tua passione delle persone a cui tieni stanno costruendo il loro futuro, per fortuna, oppure no, sentendoti un po’ in colpa nel sentirti dire che è “merito” tuo. È provare quello strano e avvolgente sentimento rende consciente del fatto che alcune persone davvero non le cancellerai dalla tua vita, che hanno fatto parte di te, e rimarranno così, indelebili alla forza del tempo.


È conoscere gente stupenda, condividere piccoli momenti, un calice di vino, un pezzo di sushi, o una puntata di Germany Next TopModel, e litigate, e dover litigare per uno sguardo di troppo, una carezza di troppo.


E bere, e cantare, e ballare insieme, perdere la giacca per poi ritrovarla, perdere una persona a cui hai dedicato 5 mesi della tua vita, e quella sarà dura ritrovarla.


Renderti conto che il tempo non esiste.


Sì perché il tempo è stata una delle mie ossessioni in questa strana avventura. Partito per dimenticare, partito per cercare qualcosa, inseguendo qualcuno. Il tempo che scorre, come i rintocchi di un orologio che si dissolvono in cerchi vibranti, e sentire che coloro che ti stanno intorno diventano seri, indossano vestiti più sobri, riflettono sul futuro, quando tutto quello che tu vuoi è poter continuare a salatare da un panettono di cemento all’ altro sul ciglio della strada senza pensieri. Per poi renderti conto che il ginocchio cede, che fa male. Persino il tuo corpo si rifiuta di disobbedire alle leggi del tempo, ma se c’è una cosa che ho imparato durante questo viaggio è che il corpo in quanto tale deve rispondere alle leggi della fisica, le cellule devono rallentare il loro processo di riproduzione,i legamenti devono perdere elasticitá ed i neuroni devono iniziare a morire (perché nella vita bisogna essere scientifici, prima di tutto scientifici), ma la mente no, quella no. Sarebbe come ordinare ad un’ idea o ad un concetto d’ invecchiare. E lasciare che gli altri invecchino, che inizino a perdere i capelli per futuli problemi, e continuare a saltare da un panettone all’altro, senza perdere quella luce negli cchi di chi crede di aver capito che cosa sia la vita, e se ci crede, allora lo avrà capito. Perché in fondo non sono nato per studiare, non sono nato per lavorare, sono nato per vivere! E tutto il resto non rimane che il mezzo che me lo permette, e pensare che c’è chi vive per lavorare, lasciando chiusi i sogni in un cassetto, convinto che li riaprirà un giorno, quando avrà tempo, quando avrà i soldi, quando in fondo sa benissimo che quel cassetto rimarrà chiuso a lungo, troppo a lungo, e una volta riaperto, quando avrà tempo, quando avrà i soldi, beh, allora sarà morto.


È tornare a casa, cresciuto, avendo assimilato, avendo perso, avendo preso e avendo dato, è vedere, la città che ti circonda cambiata, ma in fondo, la chiava che apre la porta è sempre quella, non è cambiata.


E saltando da un panettone all’ altro, da un’ avventura all’ altra sei pronto, sei pronto alla prossima, ancora più grande della prima, ancora più lungimirante, perché oramai gli unici limiti che mi fermano sono quelli fisici, perché siamo giovani, siamo onnipotenti, possiamo tutto, perché ancora possiamo spaccare tutto, perchè sfido qualcuno a fermarci. E se non vi sentite così, se siete seduti sulla sedia davanti allo schermo e pensate, povero pazzo, beh, allora avete già chiuso i vostri sogni nel cassetto, e mi spiace per voi.